Riflessioni di Daniele Rocchetti, responsabile nazionale Vita Cristiana Acli.
Mostrati, Signore;
a tutti i pellegrini dell'assoluto,
vieni incontro, Signore;
con quanti si mettono in cammino
e non sanno dove andare
cammina, Signore;
affiancati e cammina con tutti i disperati
sulle strade di Emmaus;
e non offenderti se essi non sanno
che sei tu ad andare con loro,
tu che li rendi inquieti
e incendi i loro cuori;
non sanno che ti portano dentro:
con loro fermati poiché si fa sera
e la notte è buia e lunga, Signore.
(Padre David Maria Turoldo)
Esiste un equivoco sulla profezia. Per molti il profeta è una specie di indovino che prevede un futuro più o meno remoto, un visionario che penetra in orizzonti esoterici, decollando dalla realtà verso cieli mitici e mistici. Invece, nel significato cristiano, profeta non è chi indovina il futuro, ma chi parla a nome di Dio, chi guarda, legge e interpreta il presente con gli occhi di Dio. Padre David Maria Turoldo, di cui nei prossimi giorni faremo memoria della morte avvenuta a Milano il 6 febbraio del 1992, era uno di questi.
Certo, i profeti rompono i canoni, spesso sono fuori dai nostri schemi. A volte sono eccessivi nei toni, non addomesticano la Parola, non la rinchiudono in parole comode e accomodanti. E il profeta è per eccellenza la voce che grida nel deserto della storia le inesorabili esigenze del Dio giusto, contro le quali non si possono accampare scusanti, né adottare elusioni o evasioni: «Che sarà per voi il giorno del Signore?», gridava Amos, il profeta contadino amato da padre Turoldo. «Sarà tenebre e non luce. Come quando uno fugge davanti al leone e s’imbatte in un orso; entra in casa, appoggia la mano sul muro e un serpente lo morde» (Am 5,18-19).
Non a caso, in un’intervista rilasciata allo scrittore Valerio Volpini, così Turoldo spiegava il rapporto tra poesia e profezia: “Gli stessi profeti della Bibbia erano chiamati poeti. Tra profezia e poesia c’è tutto un lavoro che persino si identifica. Sia il profeta che il poeta sono il vate divino. Il profeta non è tanto quello che annuncia il futuro, ma quello che denuncia il presente! Il profeta denuncia il presente perché lo confronta sempre con l’eternità della parola. Il divenire viene sempre confrontato sull’essere, l’essere di Dio diventa il futuro del mondo: ecco in questo senso il profeta è l’annunciatore del futuro. Il futuro del mondo è la parola di Dio, il futuro del mondo è far combaciare il mondo con il disegno di Dio”.
Servo della Parola
Queste cose mi tornano mente mentre leggo la bella e documentata biografia che Mariangela Maraviglia ha da poco pubblicato (David Maria Turoldo, La vita, la testimonianza (1916-1992), Morcelliana). Un libro poderoso, che si legge con interesse, e che mostra la ricerca di padre David, durata un’intera vita, di vivere con intensità la sua vicenda in ascolto e nello studio instancabile della Parola di Dio.
Perché questa è la radice da cui partire per comprendere la sua appassionata e a volte controversa vicenda umana e spirituale. Lui stesso, a più riprese, si definiva "servo e ministro della Parola": «Sono un pugno di terra viva, ogni parola mi traversa come una spada». Tutta la sua poesia, gli scritti, la predicazione abbondano di citazioni o di allusioni bibliche, in particolare di quei testi sacri che più rivelano il Dio esigente, che conosce la misericordia ma non ignora la giustizia: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà, che conserva il suo favore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa... fino alla terza e alla quarta generazione» (Es 34,6-7).
Ma noi parliamo
con troppo senno:
non crepitano più
le parole dal grande roveto:
le sue parole!
E la fiamma
più non riscalda,
né fa lume.
Un uomo libero
Di lui un confratello servita, Ermes Ronchi, ha detto: “Libertà e fedeltà. Davide era un uomo libero nei confronti delle istituzioni, compresa quella ecclesiastica, e fedele all’essenziale. Era infedele alla regola, alla lettera per essere fedele allo Spirito”.
Dunque, un cercatore fino alla fine in cammino, in ricerca. Mai arrivato. “Con gli errori di chi cerca la sua via giorno dopo giorno e non se ne vergogna e sempre si riprende, si lascia rilanciare dalla bontà di Dio…” (cardinal Martini).
Padre David dirà un giorno di sé: “La mia vocazione non è mai stata tranquilla, e non lo è neppure oggi. Infatti io non sono mai sicuro di me stesso. La sicurezza è una categoria che non mi appartiene; e spesso nei miei scritti io ho distinto tra sicurezza e certezza. Ad esempio, io sono certo di Dio, ma non sono mai stato sicuro di raggiungerlo; io sono certo di un progetto, cioè sogno di Dio che attraversa tutta la storia e la creazione, e che questo progetto è la realizzazione della stessa umanità: del regno dell’umanità composta nell’amore. E questo è vero, che si creda o non si creda; ma non sono sicuro che questo si realizzi”. Ancora: “io non sono sicuro di essere davvero un cristiano; cerco di esserlo, mi propongo di esserlo; faccio di tutto per esserlo, ma non sono sicuro che ci riuscirò. E ugualmente dico riguardo alla mia fede: io non sono mai sicuro di credere; cerco di credere, voglio credere; sento che senza fede non potrei vivere, ma basta tutto questo per dire di credere?”.